Terzani Prize 2019

LA MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Questo è un tempo eccezionale. Ed è con una decisione eccezionale che la giuria del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani rinuncia a premiare quest’anno un’opera letteraria, per affermare invece con forza la necessità di dedicare il Premio alla memoria delle giornaliste e dei giornalisti palestinesi uccisi a Gaza a partire dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco terroristico di Hamas.
Oltre 200 sono i giornalisti, i fotoreporter e gli operatori della comunicazione che hanno scontato con la loro vita – e spesso anche con quella dei loro cari – l’impegno di testimoniare i fatti dall’interno e impedire una narrazione unilaterale e controllata. Divenuti bersaglio dell’esercito di Israele, nemmeno il giubbotto antiproiettile, nemmeno il casco con la scritta PRESS ha potuto proteggerli, in flagrante violazione del diritto umanitario e della libertà di stampa. Mai, nella storia, il tributo pagato dal giornalismo è stato così pesante.
Erano tutti giornalisti palestinesi. Da subito la stampa internazionale è stata deliberatamente tenuta fuori dalla Striscia. E così, ciò che sappiamo, ciò che da Gaza esce, lo si deve al loro coraggio: senza la loro testimonianza, e la loro denuncia, oggi non avremmo chiare le proporzioni della tragedia di una popolazione ridotta allo stremo da mesi e mesi di bombardamenti indiscriminati e dal blocco degli aiuti umanitari in una guerra di sterminio e distruzione.
Tiziano Terzani, cui questo premio è intitolato, era un giornalista: un corrispondente di guerra sempre in prima linea nella copertura dei conflitti. Ed era profondamente convinto che si dovessero ascoltare – sempre – “le ragioni degli altri”: contro il rischio di scivolare nella barbarie dell’intolleranza e del fanatismo. E attribuiva al giornalismo questa precisa responsabilità.
Oggi, a Gaza il giornalismo muore.
La giuria del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani sente l’urgenza di lanciare un allarme e, con decisione unanime, rende onore al sacrificio di chi è stato messo a tacere e non può più raccontare “l’altra parte della storia”, conferendo il Premio Terzani 2025 – ad memoriam – ai giornalisti e alle giornaliste di Gaza.

LA MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
E la quarta volta siamo annegati, Bollati Boringhieri 2023. Traduzione di Bianca Bertola
Uomini, adolescenti, donne incinte, bambini: corpi sorvegliati, torturati, ricattati; stipati in magazzini fino a 3000 alla volta come merce da vendere al mercato dei trafficanti. Vite dimenticate.
Sally Hayden restituisce dignità e valore a quei corpi: le loro parole clandestine arrivano fino a noi in brevi frammenti che spalancano abissi di indicibile sopraffazione e ci mettono di fronte al fallimento dell’umanità. Ai confini d’Europa.
È una reporter coraggiosa, rigorosa, onesta: verifica scrupolosamente le fonti, studia i contesti, analizza le singole situazioni di abuso e violazione dei diritti umani. Il suo reportage è esente da stereotipi ideologici, fedele ai fatti: un documento di pura testimonianza e di potentissima verità umana, che ci presenta il quadro dettagliato di ciò che accade nei lager del Terzo Millennio.
Questo rigore senza cedimenti le dà il diritto di puntare il dito sulle ipocrisie degli organismi internazionali che l’Unione Europea si è data, ufficialmente per tutelare le vittime, di fatto per affiancare – grazie a funzionari superpagati, a volte corrotti e complici dei trafficanti – le strategie anti-immigratorie dei governi, in modo che tutti noi, nati per puro caso nel mondo delle libertà, possiamo voltarci dall’altra parte. Hayden toglie la maschera alle menzogne, all’inganno, al tradimento di un intero “sistema” di copertura e corruzione, che intercetta e lucra, anche politicamente, sul fenomeno migratorio, mentre ostacola i soccorsi delle Ong.
Per averci obbligato a interrogarci su uno scandalo umanitario che ci vede responsabili come cittadini europei e come italiani – e che d’ora in poi nessuno di noi potrà più fingere di ignorare senza sentirsi “colpevole di indifferenza” – la giuria conferisce il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2024 a Sally Hayden per E la quarta volta siamo annegati

LA MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Mille anni di Gioie e dolori, Feltrinelli 2023. Traduzione dall’inglese di Katia Bagnoli
Con questo racconto in forma di memoir, Ai Weiwei vuole far conoscere al figlio – e a tutti noi – le vicende che lo hanno visto a lungo vittima di una persecuzione oscurantista in Cina. Vuole soprattutto testimoniare il suo impegno come attivista per i diritti umani, portato avanti instancabilmente, nonostante il suo lavoro di artista militante sia stato costantemente “sorvegliato” da un regime totalitario pavido e ottuso. Mille anni di gioie e dolori è un manifesto di arte e di vita, dove l’arte funge da antidoto alla paura e il coraggio si fa sentimento etico ed estetico: provocazione incessante contro il Potere. È un accorato, programmatico e ostinato appello a proteggere a ogni costo – anche nell’Occidente “democratico”, dove cominciano a manifestarsi preoccupanti segnali di censura nei confronti del libero pensiero – il diritto alla libertà dell’espressione artistica e di ogni altro tipo di espressione.
Per questa resistenza tenace, per questa assunzione di responsabilità nel suo ruolo di artista e intellettuale militante, per questo allarme che vogliamo, e dobbiamo, ascoltare con attenzione e rispetto, la giuria del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, nella sua 20esima edizione, ha deciso di attribuire una Menzione Speciale ad Ai Weiwei, per Mille anni di gioie e dolori e per la sua carriera di artista impegnato nella difesa dei diritti.

Ai Weiwei per Mille anni di gioie e dolori (Feltrinelli), Sally Hayden per E la quarta volta siamo annegati (Bollati Boringhieri), Benjamín Labatut per Maniac (Adelphi), Leila Mottley per Passeggiare la notte (Bollati Boringhieri) e Damir Ovčina per Preghiera nell’assedio (Keller) sono i cinque finalisti della ventesima edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, riconoscimento istituito e promosso dall’associazione culturale vicino/lontano di Udine insieme alla famiglia Terzani, nel segno del giornalista e scrittore fiorentino. Lo ha annunciato la Giuria, riunitasi a Firenze. «Se non insistiamo nel pretendere il diritto di tutti all’informazione e alla libera espressione del pensiero, rischiamo di perderlo ed è così che la democrazia scompare. Ancora una volta, dopo vent’anni – afferma Angela Terzani -, la giuria ha voluto onorare questo messaggio di Tiziano, indicando cinque volumi finalisti che ci aiutano a meglio comprendere le tragedie collettive del nostro tempo, che inquietano i nostri pensieri e turbano la nostra visione del futuro: la guerra di nuovo così vicina e spaventosa, la catastrofe umanitaria dei migranti nell’indifferenza del mondo e di chi ha già tutto e forse troppo, il consolidarsi di regimi oppressivi che negano libertà e diritti elementari, la marginalità estrema delle persone più fragili e indifese, e poi le promesse ma anche le incognite dell’intelligenza artificiale». I giurati – Enza Campino, Toni Capuozzo, Marco Del Corona, Andrea Filippi, Milena Gabanelli, Nicola Gasbarro, Carla Nicolini, Marco Pacini, Paolo Pecile, Remo Politeo, Marino Sinibaldi, Mario Soldaini – si sono ora riservati un supplemento di riflessione prima di passare alla votazione finale. Il vincitore, o la vincitrice, sarà annunciato, o annunciata, a metà aprile e sabato 11 maggio (ore 21, Teatro Nuovo Giovanni da Udine) sarà l’atteso/a protagonista – a vent’anni dalla scomparsa di Tiziano Terzani e dall’istituzione del Premio – della serata-evento per la consegna del riconoscimento, appuntamento centrale della 20esima edizione del Festival vicino/lontano, in programma a Udine dal 7 al 12 maggio.
Chi sono, visti da vicino, i cinque finalisti?
Ai Weiwei è uno dei più importanti e poliedrici artisti viventi. Inviso al regime cinese, nel 2011 venne arrestato e detenuto senza processo per 81 giorni. Rilasciato, anche a seguito della mobilitazione internazionale, solo nel 2015 ha riottenuto il passaporto. Oggi vive tra Regno Unito e Portogallo. Mille anni di gioie e dolori, pubblicato in Italia da Feltrinelli nella traduzione dall’inglese di Katia Bagnoli, è un racconto in forma di memoir. Ai Weiwei racconta la sua difficile infanzia in esilio insieme al padre, la successiva sofferta decisione di lasciare la famiglia per studiare arte in America. Racconta il suo ritorno in Cina, il suo percorso di ricerca artistica che lo ha trasformato in una star di successo internazionale e il suo impegno instancabile come attivista per i diritti umani. Mille anni di gioie e dolori è un accorato appello a proteggere, sempre, il diritto alla libertà dell’espressione artistica e di ogni altro tipo di espressione.
Sally Hayden è una giornalista irlandese. Corrispondente dall’Africa per l’Irish Times, nel 2019 è stata inserita nella lista Forbes «Under 30» dei media in Europa. E la quarta volta siamo annegati, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri con la traduzione di Bianca Bertola, è il suo primo libro e ha vinto numerosi premi internazionali. È un’inchiesta cruda e coraggiosa, che nasce nel 2018, quando Sally Hayden iniziò a ricevere via social richieste di aiuto da parte di alcuni migranti detenuti nelle carceri libiche. Decide così di ripercorrere la loro rotta rotta, raccogliendo testimonianze, interpellando vittime, governi, istituzioni. Documenta con rigore la negligenza delle organizzazioni internazionali e l’impotenza delle ONG. Ci mostra come le radici di tanto dolore affondino nelle politiche migratorie dell’Unione Europea. Restituendo voce a chi se l’è vista negare, mette in luce le nostre responsabilità, collettive e individuali.
Benjamín Labatut è uno scrittore cileno. Ha raggiunto la notorietà internazionale con Quando abbiamo smesso di capire il mondo. Maniac, pubblicato in Italia da Adelphi nella traduzione di Norman Gobetti, ci guida in un viaggio straordinario alla scoperta di alcune delle menti più brillanti d’Europa. Quando alla fine della seconda guerra mondiale John von Neumann concepisce il MANIAC – un calcolatore universale –, sono in pochi a rendersi conto che il mondo sta per cambiare per sempre. Perché quel congegno rivoluzionario non solo schiude dinanzi al genere umano le sterminate praterie dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, ma lo conduce sull’orlo dell’estinzione, liberando i fantasmi della guerra termonucleare. Labatut si conferma un talentuoso tessitore di storie, capace di trascinare il lettore nei labirinti della scienza moderna, lasciandogli intravedere l’oscurità che la nutre.
Leila Mottley è una poetessa e scrittrice americana. Ha 22 anni e vive in California. Passeggiare la notte, il suo romanzo d’esordio, è stato inserito tra i finalisti del Booker Prize,. Pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri nella traduzione di Claudia Durastanti, è una storia di vulnerabilità, che si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto. Con una scrittura che non fa sconti, cruda e poetica al contempo, Leila Mottley racconta come una ragazzina di colore diciassettenne – il padre è morto, la madre è ospite in una comunità protetta – si veda costretta per necessità, a vendere il proprio corpo per pagare l’affitto di casa e prendersi cura del fratello e del bambino di una vicina di casa. Diventa l’intrattenimento abituale di un’intera squadra di poliziotti, in notti di violenza e umiliazioni. Passeggiare la notte è un esordio potente, un atto di accusa verso l’ingiustizia e l’abuso, il razzismo e la misoginia, che segna l’arrivo sulla scena contemporanea di una voce assolutamente unica.
Damir Ovčina è nato nel 1973 a Sarajevo, dove tuttora vive e lavora come scrittore ed editore. Il suo primo romanzo, Preghiera nell’assedio, è stato un grande successo letterario nell’area ex jugoslava e ha già ottenuto importanti riconoscimenti. È stato pubblicato in Italia da Keller, nella traduzione dal bosniaco di Estera Miočić. L’autore, intrappolato per anni a Sarajevo durante la guerra in Bosnia, attingendo a vicende autobiografiche affronta nel romanzo, quasi in presa diretta, gli orrori della guerra, senza però smettere di occuparsi dell’animo umano. Ci riporta a Sarajevo nella primavera del 1992: un ragazzo bosniaco si ritrova nel quartiere sbagliato quando viene occupato dai Serbi. Per due anni è costretto a restarci, assegnato a una squadra di lavoro per seppellire i morti. Preghiera nell’assedio è un’opera prima sorprendente che spiazza il lettore, lo getta nell’assurdità della guerra, nell’inferno sofferto dai civili, ed è capace di trovare la speranza tra le macerie, dove l’arte e l’amore possono sempre fiorire.
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La motivazione della giuria
Michele Rech compie un viaggio coraggioso in Iraq, dentro la realtà contraddittoria e dolorosissima della comunità ezida di Shengal, minacciata dalle tensioni internazionali e protetta dalle milizie curde. Entra nella storia di conflitti che la geopolitica ha rimosso dalla sua narrazione e di cui nessuno vuol sentir parlare.
In veste di Zerocalcare, ci consegna un reportage di irresistibile presa fin dalla prima tavola, fin dal primo fumetto, che contiene già un universo di pensieri, una visione originale del mondo e il tarlo di una coscienza che è impossibile mettere a tacere. Utilizzando la forza di una commovente autoironia, non nasconde la fragilità umana di un anti-eroe che può permettersi le paranoie di chi viene dal “primo mondo”. E proprio per questo ci assomiglia e ci parla: ci fa entrare nelle sue paure, reali o immaginarie, nei suoi dubbi, nelle sue perplessità. E nel suo perenne senso di inadeguatezza, che è anche il nostro. Usa le parole della quotidianità, elementari, sboccate, quasi di strada, teneramente pungenti. Mai addomesticate. E ci parla soprattutto attraverso il segno essenziale della sua matita, capace di costruire personaggi indimenticabili, icone del nostro tempo e maschere delle nostre nevrosi. Un segno capace di restituire atmosfere e situazioni di dolore assoluto, che esigono silenzio, pudore e rispetto, perché nessuna parola potrebbe raccontarle.
Per questa pietà senza retorica, che non rinuncia a immergersi nell’abisso di indicibili massacri, pur conservando lo stupore e l’innocenza dello sguardo; per la capacità di raggiungere i giovani e i meno giovani con un linguaggio contemporaneo, la giuria conferisce il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2023 a Michele Rech-Zerocalcare per No sleep till Shengal.
La motivazione della giuria
In un’esplosione di frammenti narrativi, Colum McCann mette in scena i brandelli di un conflitto apparentemente senza soluzione. Sono mille e uno i frammenti. Come le Mille e una notte di Sherazade. E infiniti sono i lati del poligono chiamato apeirogon. Come i punti di vista da cui l’israeliano Rami e il palestinese Bassam cercano di comprendere una realtà troppo complessa per essere osservata, e giudicata, da un unico lato.
Lo strazio indicibile, il lutto cui nessuna lingua ha saputo dare un nome, per la perdita delle proprie bambine, uccise ciascuna dalla guerra dell’altro, squarcia le loro vite – e scuote in profondità le nostre coscienze – ma sorprendentemente li trasforma in uomini di pace: complici di una nuova battaglia da combattere insieme, imbracciando come unica arma il comune dolore di padri. Contro la tentazione della vendetta e la trappola dell’odio. Nel segno della pietà e della compassione.
Così, mentre l’orrore della guerra bussa di nuovo alle porte d’Europa, Colum McCann ci regala una speranza, mostrandoci che sotto le logiche della politica, e della geopolitica, si muovono persone – e sono tante – che al dolore della perdita, all’umiliazione della sconfitta, hanno deciso di contrapporre, dal basso, una coraggiosa, instancabile ricerca del dialogo. Alle loro voci Colum McCann unisce la sua, indicandoci la necessità di una nuova consapevolezza: in un mondo dominato dal caos, abbiamo il dovere di “abbracciare la confusione”, ma dobbiamo farlo insieme, e dobbiamo farlo subito, imparando a condividere quest’unica Terra. E viverci in pace.
Per la raffinata qualità letteraria di questo libro dalla struttura originale, di irresistibile potenza evocativa, per l’appello urgente che contiene, la giuria conferisce il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2022 a Colum McCann.
La motivazione della giuria
La terra non ha più tempo! È questo l’allarme con cui Andri Snær Magnason pone al centro della nostra attenzione la questione del riscaldamento globale. Per farlo ci accoglie nel suo paese di vulcani e ghiacciai antichissimi, ci fa entrare nella sua casa, ci fa conoscere la sua famiglia assai speciale: dai nonni e bisnonni – glaciologi e avventurosi esploratori di paesaggi incontaminati del passato, di struggente bellezza – ai nipoti e pronipoti immaginari di un futuro ormai non troppo lontano. Ed è in nome di queste generazioni che Magnason, mescolando dati scientifici aggiornati sul deterioramento ambientale – di cui noi, qui e ora, siamo responsabili – al racconto di miti e leggende del Grande Nord, ci spinge a ripensare il mondo, ci mette in guardia dal nostro eccesso di presunzione tecnologica, e soprattutto dal superpotere del petrolio, che ha reso le nostre vite comode e globali, ma ha riempito il pianeta di spazzatura, di squilibri energetici e ha aggravato le diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri. Ci ricorda che le nostre vite e quelle di tutti gli esseri viventi dipendono dalla natura, che ci chiede di rispettare i suoi ritmi. È senza precedenti la prova che dobbiamo affrontare: si tratta di salvare la terra. E bisogna farlo in fretta. Non possiamo sottrarci al dovere della responsabilità nei confronti del nostro pianeta e delle generazioni che lo abiteranno dopo di noi.
Per questo grido d’allarme lanciato con urgenza al genere umano, per il modo semplice ed efficace, eppure rigoroso, di rendere evidente e farci comprendere l’entità del fenomeno, Il tempo e l’acqua è un libro necessario e la giuria ha deciso di assegnare al suo autore, Andri Snær Magnason, il Premio Terzani 2021.
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Hala Kodmani per La Siria promessa (Francesco Brioschi Editore), Andri Snær Magnason per Il tempo e l’acqua (Iperborea), Elif Shafak per Non abbiate paura (Rizzoli), Ocean Vuong per Brevemente risplendiamo sulla terra (La nave di Teseo) e Anna Wiener per La valle oscura (Adelphi) sono i cinque finalisti della diciassettesima edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, riconoscimento istituito e promosso dall’associazione culturale vicino/lontano di Udine insieme alla famiglia Terzani, nel segno del giornalista e scrittore fiorentino.
«Nell’anno della pandemia, dall’esito ancora imprevedibile – commenta Angela Terzani, presidente della giuria -, abbiamo cercato di individuare dei titoli che esplorassero le inquietudini e il malessere del nostro tempo, per comprendere le ragioni del sentimento di solitudine e infelicità, sia dell’uomo che della natura, che ormai tutti percepiamo. Questo, per restare fedeli allo spirito di Tiziano che ha sempre voluto tentare di capire, e far capire, i risvolti nascosti di quel che turba i popoli e gli individui».
I giurati – Enza Campino, Toni Capuozzo, Marco Del Corona, Andrea Filippi, Milena Gabanelli, Nicola Gasbarro, Ettore Mo, Carla Nicolini, Marco Pacini, Paolo Pecile, Remo Politeo, Marino Sinibaldi – costretti quest’anno dalla pandemia a riunirsi online e non, come sempre, nella casa fiorentina della famiglia Terzani, si sono ora riservati un supplemento di riflessione prima di passare alla votazione finale, prevista per fine maggio.
Il vincitore sarà annunciato a inizio giugno e domenica 4 luglio (ore 21) sarà – auspicabilmente in presenza – l’atteso protagonista, a Udine, della serata-evento per la consegna del Premio, appuntamento di chiusura della XVII edizione del Festival vicino/lontano.
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La motivazione della Giuria
Con Il naufragio delle civiltà Amin Maalouf, nato a Beirut e cresciuto fra Libano ed Egitto, oggi residente in Francia, ci trasmette la sua costernazione per la degenerazione dei rapporti fra i Paesi e i popoli del Medio Oriente. Ancora pochi anni fa, ebrei e cristiani, sunniti e sciiti delle diverse scuole e correnti dell’Islam convivevano pacificamente nelle terre del Levante, dando vita a straordinarie fioriture culturali. La stessa nostra cultura sarebbe impensabile senza il contributo nella matematica, l’astronomia, la medicina, l’architettura e le arti dei nostri vicini sull’altra sponda del Mediterraneo.
Poi, quel pluralismo così fertile e creativo si è trasformato, all’interno del mondo arabo, in una intolleranza reciproca, sfociata in azioni di incomprensibile brutalità: “Le luci del Levante si sono spente – scrive Maalouf – e l’oscurità si è diffusa in tutto il pianeta”.
Con grande sincerità Maalouf condivide con noi la propria tristezza per questa tragedia che ha colpito il suo popolo, di cui vede chiare anche le colpe e le responsabilità. Ma poi allarga la sua analisi alle politiche delle grandi potenze del mondo occidentale, da cui emerge come costante la difesa dei nostri interessi particolari nella regione, quindi anche le nostre responsabilità. Sono queste che lo storico ci invita insistentemente a condividere con gli arabi se vogliamo evitare il naufragio civile al quale potremmo altrimenti andare incontro.
Per il suo coraggio morale e l’accorata lucidità nel metterci in guardia, per l’umanità che pervade il libro intero e la limpida chiarezza della sua prosa, mirabilmente tradotta in italiano, questa giuria desidera assegnare il Premio Tiziano Terzani per l’anno 2020 a “Il naufagio delle civiltà” di Amin Maalouf (La nave di Teseo, 2019).
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I nuovi poteri forti by the journalist and writer Franklin Foer has won the 2019 edition of theTiziano Terzani International Literary Prize.
Published in Italy by Longanesi (2018) the original title, World Without Mind, was published by Penguin Press in 2017.
Franklin Foer will receive the award at a special gala ceremony dedicated to the occasion on Saturday, May 18, 2019 at the Teatro Nuovo Giovanni da Udine, which has hosted the event, a highlight of the Vicino/Lontano Festival, since its inception.
The Festival, which celebrates its 15th edition this year, will take place in the heart of Udine from 16th to 19th May.
The Statement of the Jury, presided over by Angela Terzani, reads as follows:
“In his latest revealing essay, Franklin Foer focusses on the monopoly that Silicon Valley tech titans, owners of the web, are imposing on the global communication and market systems. Foer knows them and helps us understand that world.
Who we are, where we live, what we read, our sexual preference and our political orientation: the world’s tech giants know everything about us. And, in return for the freedom to navigate the world wide web, we have unknowingly relinquished our data to those tech powers and they have turned them in goods to be sold on the advertising market. Advertising can therefore influence our choices in a targeted manner while propaganda can undermine our free will by systematically guiding our vote.
In a very accessible language, Foer warns us about the dangers of information manipulation, which threatens to change the face of democracy into an unknown form of authoritarianism. In the meantime, the traditional counterpower of a professionally and ethically responsible press – indispensable pillar of democracy – becomes increasingly weaker as it is rendered economically vulnerable by the knowledge monopolists who give readers what readers expect and demagogically exploit their unconscious orientations and prejudices.
It is impossible to completely stay out of it.
Foer, however, invites us not to give up and to fight back as individuals to be able to disconnect from the machine from time to time and indulge in reading on paper, quietly and solitarily, away from the loud noise of the web and from digital surveillance, in a place where our data leave no trace behind.
Utopianism or naivety? Foer is willing to try. Let us all try.For his appeal, for this act of resistance from the bottom, which could contribute to the survival of an alternative technology – culture printed on paper – the jury awards the Premio letterario internazionale Tiziano Terzani 2019 to Franklin Foer”.
La motivazione della giuria
La vicenda di Francois Bizot è un intreccio straordinario di qualità personali e di coincidenze decise dal caso. Il suo lavoro di archeologo, i suoi incontri ripetuti con i khmer rossi e il suo libro “Il cancello” toccano i temi antichi e sempre attuali di ogni ricerca, di ogni viaggio esistenziale. Raccontano la curiosità per una cultura lontana, le promesse di un nuovo progetto politico, l’alleanza torbida tra violenza e potere. Bizot si incammina nella giungla del sud est asiatico, lungo le rive del Mekong, tocca la guerra, e in molti casi diventa un personaggio contiguo, che affianca, che a volte precede, che a volte segue la camminata di Tiziano Terzani. Si muovono lungo lo stesso itinerario, nello stesso momento storico. Pol Pot e gli altri capi dei khmer rossi avevano studiato alla Sorbona. L’archeologo partito dalla Francia è tra i pochissimi testimoni di quella ideologia purificatrice rapidamente degenerata. A un certo punto ricorda “… le pesanti responsabilità dell’Occidente, che aveva esportato senza sfumature i propri modelli e le proprie idee in un mondo del tutto estraneo alla propria cultura e non era poi stato in grado di prevedere, di bloccare o almeno di riconoscere gli effetti perversi di tale azione”. Pol Pot ha anticipato Milosevic e Saddam, che al suo confronto appaiono come tiranni minori. Ma la giustizia internazionale non ha trovato il tempo per raggiungere, interrogare e giudicare il carnefice dei cambogiani. Per questo le pagine di Bizot hanno il suono e la forza di una profezia solitaria.
La motivazione della giuria
Jonathan Randal, dopo cinquant’anni di viaggi attraverso le turbolenze del mondo, dice che l’informazione è frutto di fiducia, pazienza e fatica. Questo secolo e questo millennio invece hanno rivelato subito al loro inizio di disprezzare questa regola, mostrando una erosione, una soggezione progressiva dei fatti rispetto ai resoconti del potere. Due temi in particolare, il terrorismo e l’islam, sono serviti come pretesto per indebolire la libertà di stampa, per deformare la conoscenza. Randal è cittadino americano con residenza francese, avvicina le due sponde dell’oceano in un momento di incomprensione. Per otto anni ha lavorato con ostinazione, rigore e passione sugli intrecci oscuri e trasversali tra terrorismo, integralismo islamico, deviazioni dei servizi segreti, interessi della grande diplomazia occidentale. Da quel lavoro è nato “Osama”. L’autore ha indagato attorno alla figura del miliardario saudita – simbolo di un intreccio opaco di interessi – per spiegare come nasce un terrorista, ma soprattutto per spiegare come si crea un personaggio negativo, come lo si ingrandisce fino a trasformarlo in una figura mitica e inafferrabile, utile ai suoi seguaci e contemporaneamente ai suoi avversari. Dopo l’11 settembre Randal ha resistito, come pochissimi hanno saputo fare, al fiume della isteria mediatica, alla semplificazione degli slogan, alle pressioni editoriali. Ha rinviato la conclusione del suo lavoro proprio per proteggere autonomia di giudizio e rigore, distinguendo seguaci della violenza e seguaci dell’islam. Sono questi i grandi meriti del suo libro in un momento storico inquinato e avvilito dallo spirito delle nuove crociate.
La motivazione della giuria
In ogni parte del mondo chi sceglie di scontrarsi con l’arroganza del potere sa in anticipo che incontrerà frustrazioni, angosce solitarie, rappresaglie economiche, aggressioni fisiche. E giorno dopo giorno finisce avvolto dentro una spirale perversa – antica e sempre uguale – che produce solitudine, isolamento.
Anna Politkovskaja è stata uccisa il 7 ottobre 2006 e anche dopo la morte è accompagnata dalla stessa solitudine che il suo lavoro e il suo coraggio le avevano costruito attorno quando era in vita. Ha descritto la violenza brutale della guerra in Cecenia, la vita senza regole della nuova Russia, la ricchezza selvaggia, la mutazione genetica di una intera generazione postsovietica. Cioè ha scelto temi faticosi, difficili, che non regalano popolarità e successo. E’ temerario, se non insensato, raccontare una vita come la sua in poche righe.
Il potere di Mosca con parole aride e stentate ha detto che questa donna in realtà nella sua patria era una sconosciuta. La giuria del Premio Terzani crede invece che Anna Politkovskaja sia un simbolo straordinario che porta onore alla sua terra, al mestiere di conoscere e di raccontare. All’unanimità, con profondo rispetto, le viene assegnato il Premio Internazionale Tiziano Terzani 2007 alla memoria.
La motivazione della giuria
La giuria del premio Tiziano Terzani ha scelto come vincitore per il 2008 Fabrizio Gatti, autore di Bilal. Nel suo libro si mescolano qualità professionali ormai dimenticate nel giornalismo e rare qualità umane. La fatica fisica con cui accompagna la carovana dolente e instancabile degli immigrati, attraverso i deserti e le frontiere dell’Africa, lo aiuta a conoscere concretamente le umiliazioni, gli inganni, i pericoli, che questi uomini e donne devono affrontare. Gatti racconta senza retorica, e senza soggezione davanti alla “verità” dei rapporti ufficiali. Adotta una nuova identità, prende il nome di Bilal, ma non è un artificio letterario. Il cronista clandestino si confonde con l’emigrante occasionale, si stacca progressivamente dalla cronaca immediata per avvicinarsi alla dimensione corale di una moderna migrazione forzata, di una “corsa” al lavoro, a una vita dignitosa, che coinvolge milioni di uomini provenienti da ogni angolo del pianeta. L’Occidente sembra incapace di vedere, e più ancora di capire con lucidità le ragioni di questa fuga di massa, dove i violenti mettono in ombra gli uomini onesti, normali. Ma i clandestini del terzo millennio – alla ricerca di un mitico passaggio a nord ovest – hanno trovato in Occidente un compagno di viaggio che li ascolta e li guarda con intelligenza e rispetto.
La motivazione della giuria
La guerra in Afghanistan appare sempre più, con chiarezza, una impresa sbagliata, condotta come una spedizione coloniale classica, solo aggiornata con tecnologie moderne. Gli errori militari e diplomatici in quel paese affiancano una gravissima crisi economica mondiale, mostrano una cecità globale della politica e del mondo contemporaneo. Di fronte a un vuoto profondo di conoscenza “Caos Asia” di Ahmed Rashid descrive in modo implacabile la discesa verso il disordine di una intera regione dell’Asia centrale, considerata dai paesi confinanti e dall’Occidente zona di libera, piena interferenza. Questo libro, con i suoi molti numeri e le sue citazioni di prima mano, rivela incompetenze e impunità dei consulenti stranieri, dietro il pretesto approssimativo di combattere il terrorismo e di portare la democrazia a Kabul. Ma soprattutto scavalca, con le sole energie del suo autore, tutto un filone editoriale di libri compassionevoli e devianti sulla tragedia afgana. La giuria del Premio internazionale Tiziano Terzani assegna il riconoscimento per il 2009 ad Ahmed Rashid, per un lavoro maturato negli anni, con attenzione e autonomia intellettuale. I lettori comuni leggeranno nelle sue pagine senza folklore quello che gli afgani sotto tutela straniera non hanno potuto raccontare e che la grande politica non ha saputo vedere.
La motivazione della giuria
Oltre trenta anni fa, nella vicenda Sindona c’è stato un protagonista-antagonista solitario e coraggioso, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, che ha pagato le sue scelte con una morte violenta. Quella storia personale è ricostruita con tenerezza e insieme fredda investigazione dal figlio Umberto in “Qualunque cosa succeda”. A questo libro orgoglioso viene assegnato il premio internazionale Tiziano Terzani 2010.
Per Giorgio Ambrosoli, essere al servizio dello Stato voleva dire perseguire l’interesse generale, sapendo che ad ostacolare il suo lavoro sarebbero scesi in campo interessi trasversali e poteri privati. Non era arso dal sacro fuoco della legalità, che trasforma sempre il dovere in atto eroico; era semplicemente un uomo che svolgeva il suo lavoro con senso di responsabilità. E’ questo un concetto semplice e normale che ha permesso al mondo di evolversi e di progredire, ma che invece nel nostro paese il tempo ha trasfigurato. L’opera letteraria di Umberto Ambrosoli è riuscita a raccontare, attraverso la quotidianità del lavoro del padre, la dedizione solitaria e a volte anonima di uomini che si spendono con generosità. Attraverso il racconto di una delle storie più buie d’Italia, si fa strada il grande valore di quest’opera, ovvero la sensazione che non sia impossibile affrontare le fatiche o gli orrori. Pagina dopo pagina, “Qualunque cosa succeda” incita a non essere vili, e a non barattare la dignità con la permanenza su una poltrona. Ti accende il desiderio di voler assomigliare a quell’avvocato rigoroso. Ti accende anche la speranza di riuscirci. Non per diventare eroi, ma per essere persone normali.
La motivazione della giuria
Leslie T. Chang frequenta per anni alcune giovani operaie che lavorano nei giganti manifatturieri della Cina globalizzata: si cala nelle loro piccole vite, si mette in ascolto, ne registra con mano leggera e discreta sogni, speranze, ambizioni, delusioni e sconfitte; ne percepisce la solitudine vissuta in quella “terra di nessuno”, dove al rischio di perdere la propria identità nell’anonimato della grande fabbrica-città si contrappone la spasmodica volontà di una affermazione tutta individuale, costi quel che costi, purché lontano dal villaggio d’origine. E’ a queste eroine, sedotte dal mercato e in corsa verso il futuro, protagoniste di una nuova tipicità post-socialista, che Chang dà voce, e la sua narrazione – alla maniera della più alta tradizione del giornalismo d’inchiesta – offre, dall’interno e dal basso, una testimonianza efficace e convincente del mutamento, ad altissima velocità, di un intero universo socio-culturale. L’autrice non giudica, non commenta.
Tuttavia, all’azzeramento radicale del passato in nome di miti e modelli culturali di importazione, implicitamente contrappone la ricostruzione per frammenti delle vicende migratorie ed “epiche” della sua stessa famiglia attraverso la Cina, prima e dopo la Rivoluzione, e poi verso la libertà americana. Restituisce così alla narrazione, a beneficio del lettore, un quadro storico di riferimento e recupera lo spessore della memoria, salvando dall’oblio – ancora una volta attraverso il racconto di vicende personali realmente vissute – l’immagine, anche simbolica, di un paese ormai lontano da se stesso.
La motivazione della giuria
Ala al-Aswani – medico, scrittore e dissidente – la rivoluzione egiziana l’ha prevista e attesa.
In questo libro, al quale va il premio Terzani 2012, non solo racconta in diretta i fatti di piazza Tahrir, ma smaschera la farsa che è stata costruita in Occidente sull’Egitto di Mubarak. Aswani ci racconta l’Egitto che non abbiamo voluto vedere: l’Egitto dell’oppressione, delle torture, dello stato di polizia, dell’ingiustizia quotidiana; ma anche l’esperienza di una dolorosa migrazione alla ricerca di migliori condizioni materiali e di una vita priva di umiliazioni e soprusi.
L’Egitto che ci viene qui raccontato non è quello di una rivoluzione sbocciata dal nulla, internet, ma quello della dissidenza di molti giovani e meno giovani che da anni cercavano di costruire un fronte di resistenza, e intanto subivano le violenze della polizia politica, e mettevano in gioco la loro stessa vita.
Non separando mai la sua arte dall’impegno in difesa dell’uomo e della democrazia, Aswani analizza la pratica dell’illegalità in un regime oppressivo e mette a nudo le radici della cultura della passività e della rassegnazione.
L’entusiasmo e la felicità che condivide con il popolo in piazza Tahrir non gli impediscono tuttavia di mettere in evidenza le questioni aperte dal processo rivoluzionario e soprattutto i rischi della controrivoluzione. “L’unica soluzione è la democrazia”: la frase con cui Aswani conclude tutti i suoi articoli non deve essere letta come un’indicazione rivolta solo ai suoi concittadini, ai quali la democrazia è stata a lungo negata, ma come un monito a tutti noi che non possiamo non vederla messa in discussione da una sempre più iniqua distribuzione delle risorse e ancor più dalla negazione ad alcuni popoli del diritto di vivere in pace nel proprio paese.
La motivazione della Giuria
Il divario tra il funzionamento dei sistemi economici e politici e gli effetti concreti che esso ha sulle nostre vite è diventato sempre più drammatico. Per cercare di far luce su un tema così complesso, la giuria del premio Terzani ha deciso di premiare un protagonista non ortodosso dell’economia mondiale: George Soros.
Finanziere di successo, Soros ha realizzato grazie alla sua attività ingentissimi guadagni, ma non si è mai sottratto a una sistematica assunzione di responsabilità in campo sociale, e anche indirettamente politico, con il fine di realizzare la “società aperta” teorizzata da Karl Popper, suo maestro alla London School of Economics. Da oltre trent’anni la Soros Foundation e l’Open Society Institute operano infatti in tutto il mondo per promuovere la democrazia e le cause progressite, finanziando movimenti di riscatto sociale e di opposizione, intellettuali, scrittori, artisti e media indipendenti. Dopo la crisi del 2008, convinto della necessità di un pensiero economico nuovo, Soros ha creato l’Institute for New Economic Thinking, nel cui direttivo siedono l’economista Jean-Paul Fitoussi e i premi Nobel Joseph Stigliz e Amartya Sen.
Gli articoli raccolti nel suo ultimo libro, “La crisi globale”, – a cui va il Premio Terzani 2013 – scardinano il pensiero economico prevalente e sostengono la necessità di una diversa organizzazione della finanza internazionale. Soros invita a considerare il mercato non un fine ma piuttosto un mezzo per assicurare un equo benessere al maggior numero di persone possibile, in un quadro di garanzie democratiche. Fa appello infine alla classe dirigente europea affinché si assuma la responsabilità di ricercare soluzioni condivise che affrontino non solo la riduzione dei debiti ma anche la crisi valutaria, quella bancaria e il rilancio dell’economia nel rispetto di una più equa redistribuzione delle risorse.
Nell’assegnare il Premio a George Soros la giuria intende riconoscere valore alla straordinaria esperienza di un attore economico atipico e contemporaneamente offrire al pubblico una eccezionale occasione di conoscenza, nello spirito di Tiziano Terzani.
Motivazione del Premio Letterario internazionale Tiziano Terzani 2014 a Mohsin Hamid
Il romanzo di Mohsin Hamid, Come diventare ricchi sfondati nell’Asia emergente, può dirsi una meditazione sulla vita dell’uomo nel mondo globalizzato. Tutto è nuovo in questo romanzo: è nuova la città sconvolta dalla modernizzazione; sono nuovi i valori sui quali il protagonista si orienta: non più il villaggio d’origine, la famiglia allargata, una vecchia moralità passata di padre in figlio, bensì il mondo intero al quale la città in cui si è trasferito si ricollega con cavi a fibre ottiche per facilitare gli affari. È nuovo anche il deserto umano nel quale quest’uomo corre verso le sue mete, come è nuova la forma letteraria nella quale Mohsin Hamid comprime la sua emblematica storia. Tutto quindi è nuovo: solo l’occhio di chi osserva è un occhio antico, saggio, distaccato. È l’occhio di un uomo che ha ben guardato la nuova realtà e ne ha capito i vantaggi e i costi. Vivi come vuoi, vivi dove vuoi, vivi la vita del tuo tempo, sembra dire. L’importante è che arrivi in fondo con un cuore. Parallelo al racconto si tesse infatti, come una piccola melodia, uno sporadico amore. Nuovo anche questo nel suo modo di realizzarsi, è però sincero e duraturo. Ed è questo amore che alla fine, quando tutto è nuovamente perduto, permette al protagonista di riscattarsi. Per il coraggio con cui ha guardato in faccia alla sfida del nuovo millennio, per la lucidità delle sue conclusioni e l’umana delicatezza che sopravvive in lui, la giuria assegna il premio letterario Tiziano Terzani, ex aequo, a Mohsin Hamid.
Motivazione del Premio Letterario internazionale Tiziano Terzani 2014 a Pierluigi Cappello
Questa libertà, il romanzo di Pier luigi Cappello, racconta il processo di una conquista personale che, per le sue valenze esistenziali e per il suo connettersi con un preciso contesto storico e geografico, collega una vicenda individuale con l’esperienza di un’intera collettività. Paesaggi, situazioni e personaggi si delineano con una forte componente lirica e prendono corpo in una scrittura rigorosa, severa e sorvegliatissima nella scelta di ogni singola parola eppure così fluida da sembrare semplice e immediata. Il paese di montagna e i suoi abitanti sono descritti in tutta la loro dignitosa e semplice naturalezza e sono i protagonisti di un mondo vissuto con quella pienezza che è destinata a farsi emozione fortissima e incancellabile nel patrimonio memoriale dell’uomo adulto. La rievocazione del passato, senza mai smarrire la dimensione lirica, assume così il carattere epico del racconto che illustra i mutamenti fisici e culturali di un microcosmo e di un intero territorio. “Libertà” è la conquista di chi non cede allo sconforto e sa reagire, abbracciando la vita per quello che essa può ancora dare anche quando, per un incidente, un ragazzo di sedici anni non riconosce come suo il corpo che occupa. Il grande amore per la letteratura ha fatto di quel ragazzo, assiduo lettore di poesie e di romanzi fin dall’adolescenza, un artista della parola. La Giuria gli assegna il Premio letterario Tiziano Terzani, ex aequo. Quest’uomo è così sincero e così umanamente vero che il lettore, come se meritasse la sua confidenza, fatica a sentirlo estraneo a se stesso.
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Motivazione del Premio Letterario internazionale Tiziano Terzani 2015 a David Van Reybrouck per “Congo” (Feltrinelli, 2014)
Con la curiosità di un archeologo e l’attenzione di un antropologo, con lo scrupolo dello storico e l’elegante sensibilità di un poeta, con l’efficacia del giornalista d’inchiesta e il talento di un potente narratore, Van Reybrouck ci conduce per mano alla scoperta di un paese, di un popolo, di un continente.
Avorio, argento, oro e diamanti; e poi carbone, stagno, rame e caucciù; e infine petrolio, uranio e coltan per i nostri telefonini… e naturalmente schiavi: tutte queste ricchezze immense e maledette hanno segnato il destino tragico del Congo, la terra forse più sfruttata al mondo, non solo dall’uomo bianco. La colonizzazione belga prima, lo sfruttamento delle multinazionali poi, e ora la Cina; le lotte fra diverse etnie votate al massacro reciproco, i genocidi di regimi tirannici e sanguinari o di predatori senza scrupoli; la fame, la guerra, le malattie endemiche e la piaga dell’aids formano un paesaggio apocalittico nella vita quotidiana dei congolesi. Da sempre. Ma la forza del libro Congo, questa cronaca di sventure senza fine, è data dal fatto che la ascoltiamo dalla voce dei testimoni diretti. In centinaia di interviste, personaggi talvolta molto longevi raccontano all’autore e a noi lettori, con la forza di una verità vissuta, i loro ricordi personali, fin dall’arrivo dell’uomo bianco in una terra non sua, mentre tutt’intorno, misteriosa nella sua incomparabile bellezza, si sente respirare la giungla equatoriale del gigantesco fiume che dà nome al Paese.
Una narrazione a più voci, ma essenziale e potente, ricostruisce così l’immagine, tra passato e presente, di un intero popolo. E il Paese Congo non solo è il protagonista, ma diventa anche il narratore di se stesso, rivelandosi in tutta la sua martoriata umanità; è voce corale che parla di sé e che si lascia raccogliere da chi ne vuole condividere il messaggio. Perché Congo potrebbe anche essere un insegnamento oggettivo per chi si autodefinisce civilmente avanzato, ma non sa riconoscere di essere troppo assuefatto e spesso indifferente alle sofferenze dei popoli e alle devastazioni del territorio proprio e altrui. E mentre le rivendicazioni etniche, politiche e religiose stanno sfociando in nuove follie, questo Congo potrebbe essere un monito pacato a essere cauti con i nostri giudizi come con i nostri interventi.
Per queste motivazioni, che riconoscono in Congo una rappresentazione “decisiva” ed esemplare di quel grande Paese e dell’intero continente africano, la giuria assegna il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani al suo autore, David Van Reybrouck.
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Motivazione del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2016 a Martín Caparrós per “La fame” (Einaudi 2015)
Quasi un miliardo di persone nel mondo soffre la fame e ogni anno nove milioni di esseri umani muoiono per denutrizione. Caparrós non si ferma davanti a questi numeri, insufficienti, nella loro aridità, a scalfire la nostra indifferenza. Si mette in viaggio, attraversa i territori della povertà estrema, scende nell’inferno delle tante, troppe periferie del pianeta, entra nelle vite delle singole persone, le interroga, le ascolta. Lo fa con la pietas di chi si sente personalmente chiamato in causa, ma anche con la lucidità di un pensiero laico che non fa sconti a nessuno, e soprattutto con il coraggio e la passione di chi vuole individuare, smascherare e denunciare i meccanismi e gli interessi che stanno dietro uno scandalo che si vorrebbe far passare come un fenomeno inevitabile. Scopre che la fame è tragedia vissuta soprattutto al femminile e che il nostro benessere di privilegiati del Primo Mondo, la nostra attitudine allo spreco, è una violenza quotidiana verso chi non ha nemmeno il latte del proprio seno per nutrire i figli. E si convince che “non esiste la ricchezza di un paese senza la miseria e la fame di un altro”. La fame diventa così una lente necessaria attraverso la quale Caparrós ci costringe a guardare il mondo in cui viviamo.
Sotto quella lente passano in rassegna i temi cruciali di un tempo che viene chiamato post-moderno: le vertiginose, crescenti diseguaglianze del mondo globalizzato, la rapina dei territori e le nuove forme di colonialismo e di sfruttamento schiavistico, la colpevole, complice inadeguatezza dei governi e l’impotenza della solidarietà internazionale. Alla fine di una serrata lettura che non lascia tregua, grazie a una straordinaria agilità di scrittura capace di rendere avvincente un tema così duro, così scomodo, nessuno di noi può far finta di niente, nessuno di noi può voltarsi dall’altra parte. E ci rimane la voglia di saperne di più.
Per questa denuncia, per questa lucidità, per questo richiamo alla nostra responsabilità, individuale e collettiva, per l’utopia che l’autore ci consegna di una rivoluzione antropologica che scardini il paradigma delle “necessarie” diseguaglianze, la giuria assegna il Premio letterario internazionale Tiziano Terzani 2016 a Martin Caparrós per La fame.
Motivazione del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani 2017 a Sorj Chalandon per “La quarta parete” (Keller 2016)
Da anni il Libano ha perso i suoi boschi di cedro. Ma dentro le pagine de “La quarta parete” di Sorj Chalandon sopravvive una di queste piante, trasformata in albero genealogico, ai cui rami sono appesi i nomi di palestinesi, drusi, maroniti, sciiti, caldei, armeni. Nemici per etnia e fede religiosa. Basterebbe questa compagine scombinata e insieme volonterosa per spiegare l’eterna frantumazione libanese. Chalandon – cronista irrispettoso di giornali irrispettosi – la trascina dentro un cinema diroccato di Beirut per allestire l’Antigone di Anouilh. E uno dei suoi personaggi ammonisce: non servono le facce impomatate degli artisti per conquistare la pace mentre cadono le bombe. Ma nei conflitti reali anche i militari parlano di teatro di guerra, per indicare lo scenario dentro il quale si muovono uomini e armi. Stendono coperte e pezzi di stoffa cuciti insieme per nascondere i loro movimenti, dipingono i loro veicoli e le facce dei soldati.
Questo è un romanzo che distrugge la distinzione dei generi letterari, che mette in ombra analisti e storici, che li riassume e li scavalca. Perché è scritto “con una farfalla nella testa, e con un cuore di troppo” come dice uno dei protagonisti. Proprio questa narrazione emotiva, che trascura comandanti e sigle di armi, va oltre il perimetro libanese. Chalandon ha sperimentato la violenza a Beirut, in Afghanistan, in Irlanda, nel tempo il suo dna è cambiato. Ci sono voluti oltre trenta anni per elaborare i massacri di cui è stato testimone mentre sparivano i cedri e aumentavano le macerie. In filigrana emergono le tribolazioni dell’intero Medio oriente dopo la stagione coloniale dei protettorati, dei confini disegnati dagli stranieri con la riga, fino alle cronache di questi giorni da Aleppo e da Mosul. Anche le macerie di Palmira hanno ospitato l’orchestra di San Pietroburgo. Il teatro della guerra non chiude mai. “La quarta parete” è come un grande affresco senza tempo e senza cornice.
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La motivazione della Giuria
Un mondo occidentale distratto, inerte, per anni ha guardato senza vedere i morti e le macerie siriane. Domenico Quirico, cronista in quel paese, si è accorto invece che “l’alchimia delle sue parole” non riusciva più a trasmettere quel caos barbaro e impunito. Nelle pagine di “Succede ad Aleppo” mette da parte i termini enfatici, dirompenti, che nei racconti di guerra tradizionalmente sembrano voler competere con il rumore delle bombe e il colore del sangue. Nonostante le lunghe esperienze nelle periferie disperate del mondo l’occhio dell’autore non conosce quella patina insidiosa, grigiastra, di chi ha già visto tutto e conosce già il peggio.
Quirico ha scritto che è facile amare un paese, ma ben più faticoso amare il suo popolo. Bisogna condividere con lui fame, sudore, stanchezza, paura, per guadagnare il diritto di raccontare. Nell’epoca in cui milioni di persone si accaniscono su una tastiera per commentare notizie sfacciatamente bugiarde o per inseguire esili promesse virtuali questo libro percorre un itinerario faticoso, inesplorato. Nella città bombardata l’autore incontra un bambino solo e taciturno che raccoglie acqua in un secchio. In alto un elicottero. “Vidi il bambino, fantasticamente avvolto di rosso e di nero, sollevarsi, ribaltarsi, sparire, in una miscela bianca e rossa”. Per questi inediti, teneri necrologi di guerra, per questa scrittura eretica di fronte alla carneficina siriana e alla indifferenza della opinione pubblica, la giuria affida a “Succede ad Aleppo” il premio Terzani 2018.
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La motivazione della Giuria
Franklin Foer mette al centro del suo ultimo saggio-denuncia la questione del monopolio che i giganti della Silicon Valley, padroni della rete, esercitano sul sistema della comunicazione globale e del mercato.
Foer li conosce da vicino e ci aiuta a capire meglio quel mondo.
Chi siamo, dove abitiamo, cosa leggiamo, quali sono i nostri gusti sessuali e il nostro orientamento politico. I big mondiali della tecnologia sanno tutto di noi. E noi, in cambio della libertà di navigare nel world wide web, abbiamo ceduto senza accorgercene i nostri dati a quei poteri, che li hanno trasformati in merce da vendere sul mercato degli inserzionisti. Così la pubblicità può indirizzare in modo mirato le nostre scelte di consumo e la propaganda può minare il nostro libero arbitrio, condizionando scientificamente il nostro voto.
Ed è qui che Foer, in un linguaggio accessibile a tutti, ci mette in guardia sui pericoli di un’informazione manipolatoria, che minaccia di trasformare il volto della democrazia in una forma inedita di autoritarismo. E intanto, il tradizionale contropotere di una stampa professionalmente ed eticamente responsabile, indispensabile pilastro della democrazia, continua a indebolirsi, reso economicamente vulnerabile di fronte ai grandi monopolisti della conoscenza, che danno ai lettori ciò che si aspettano, sfruttandone demagogicamente tendenze inconsce e pregiudizi.
Impossibile tirarsene fuori del tutto.
Ma Foer ci invita a non rassegnarci e a organizzare una sia pur minima forma di ribellione individuale per dissociarci ogni tanto dalla macchina e concederci qualche momento di lettura su carta, solitaria e silenziosa, lontano dal rumore totalizzante della rete e dalla sorveglianza digitale, rifugiandoci in un luogo dove i nostri dati non lascino tracce.
Utopia o ingenuità? Lui ci prova. Proviamoci tutti.
Per questo appello, per questo atto di resistenza dal basso, che potrebbe contribuire anche a far sopravvivere una tecnologia alternativa, la cultura stampata sulla carta, la giuria assegna a Franklin Foer il Premio letterario internazionale Tiziano Terzani 2019.
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Il vincitore: Franklin Foer Giornalista e scrittore statunitense, è nato nel 1974 ed è fratello dello scrittore Jonathan Safran Foer e del giornalista e scrittore Joshua Foer. È uno dei redattori di punta della prestigiosa rivista di cultura, scienza e attualità The Atlantic. In passato è stato editor di The New Republic (2006-2016) e collaboratore delle riviste New York e Slate. È autore di diversi libri, tra i quali Come il calcio spiega il mondo: uscito in Italia nel 2007 da Baldini & Castoldi Dalai, è un'appassionata analisi di questo sport nell'era della sua (problematica) globalizzazione e un pretesto per far luce, da un inedito punto di vista, sulle nuove oligarchie del mondo contemporaneo. Nel 2017 ha pubblicato il saggio World Without Mind. The Existential Threat of Big Tech, inserito fra i migliori dell’anno dal New York Times e dal Los Angeles Times. Tradotto in Italia da Longanesi nel 2018 col titolo I nuovi poteri forti. Come Google Apple Facebook e Amazon pensano per noi (traduzione di Matteo Camporesi), vince il Premio Terzani 2019.
Serata per la premiazione di Franklin Foer
premia il vincitore ANGELA TERZANI
incursioni improvvisate in ottave di
DAVID RIONDINO ed ENRICO RUSTICI
in collaborazione con Euritmica
conduce GAD LERNER
regia GIANNI CIANCHI
- 18/05/2019
- Ore 20.45
- Teatro Nuovo Giovanni da Udine
- Info biglietti